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Disforie di genere – Riattribuzione chirurgica

Aldo Felici

Chirurgia Plastica e Ricostruttiva, AO San Camillo-Forlanini, Roma

 

INTRODUZIONE
L’atto medico-chirurgico di adeguamento dei caratteri sessuali (riattribuzione chirurgica di sesso, RCS) delle persone con disturbo dell’identità di genere è stato legittimato in Italia con la Legge 14 aprile 1982, n. 164. La legge consente di adeguare con interventi medico-chirurgici, i caratteri sessuali di un individuo a quelli del sesso al quale il soggetto sente di appartenere o, quanto meno, secondo i cui ruoli socialmente definiti intende vivere. L’intervento deve essere autorizzato con sentenza del tribunale, emessa su domanda dell’interessato e deve essere considerato la tappa finale di un lungo iter, condotto secondo protocolli ben definiti, finalizzato all’elaborazione delle complesse componenti di una condizione esistenziale che si è andata radicando, creando un profondo malessere che, nella maggioranza dei casi, risulta irrisolvibile per vie diverse dalla RCS. È per questo motivo che il soggetto deve giungere agli interventi chirurgici attraverso un percorso che assicuri, oltre una corretta diagnosi differenziale, l’assunzione di responsabilità di una scelta effettivamente consapevole.
Lo scopo dell’intervento di conversione è armonizzare l’aspetto esteriore del corpo al vissuto d’identità della persona, operando quelle trasformazioni morfologiche consentite dalle attuali tecniche chirurgiche, con l’obiettivo di ottenere una migliore qualità di vita della persona.

 

TERAPIA CHIRURGICA DEL TRANSESSUALISMO MASCHIO-FEMMINA
Gli interventi per la RCS nella conversione andro-ginoide sono molteplici e possono essere effettuati isolatamente o variamente associati tra loro nei modi e nei tempi che vengono concordati con l’interessato, secondo le possibilità tecniche e le sue personali scelte. Si tratta di:

  • intervento primario o di adeguamento dei genitali (asportazione delle gonadi e vaginoplastica);
  • intervento secondario, o di adeguamento della parete toracica (mammoplastica additiva);
  • interventi complementari, cioè modellamenti estetici (asportazione del pomo d’Adamo, condrolaringoplastica, rinoplastica, cheiloplastica, depilazione, ecc) (1).

Intervento primario: gonadectomia e vaginoplastica (con tecnica dell’inversione peniena)
Si tratta di intervento ad alta complessità tecnica, che possiede tutte le caratteristiche della speciale difficoltà (ex art. 2236 c.c.), finalizzato a trasformare, per quanto possibile, l’aspetto di una persona da quello maschile a quello femminile.
L’intervento primario prevede una fase demolitiva (asportazione di testicoli, epididimi, funicoli, corpi cavernosi, parte dell’uretra) e una fase costruttiva, che si prefigge di creare, ex novo, un intero apparato di strutture non esistenti e consiste nel confezionamento di una neo-cavità vaginale all’interno della pelvi, che si apre nello spazio perineale (tra la superficie dorsale dello scroto e lo sfintere anale).
Nell’insieme l’intervento è finalizzato ad assecondare le specifiche e prepotenti esigenze di queste persone:

  • eliminare gli odiati attributi maschili, prevenendo anche i non infrequenti episodi di auto-lesionismo o auto-mutilazione, cambiando radicalmente l’assetto ormonale;
  • modificare, per quanto possibile, l’aspetto dei genitali esterni, con la creazione di una neo-vulva ottenuta modellando i tessuti residui dopo la demolizione, al fine di ottenere un neo-clitoride, uno pseudo-prepuzio, un nuovo meato uretrale e strutture simili alle grandi e piccole labbra.

L’intervento viene condotto in un unico tempo operatorio, generalmente in anestesia generale, pur potendo essere eseguito in anestesia peri-durale o spinale su indicazione dell’anestesista, tenendo conto del desiderio del paziente. Dura in media 3 o 4 ore, richiede in genere 3 o 4 giorni di ricovero. È utile predisporre un’auto-emotrasfusione.

Fasi dell’intervento chirurgico
In posizione ginecologica vengono repertati e marcati i due tubercoli ischiatici e da quel livello viene disegnato il lembo scrotale, alto mediamente 15 cm e largo 4 cm. All’apice di questo lembo si disegna una linea verticale sul rafe mediano del fallo, che rappresenta la linea d’incisione da cui si ricaverà il lembo penieno (2)(fig 1a).

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Il lembo scrotale viene quindi scolpito e ribaltato, fino a raggiungere la fascia perineale superiore, al di sotto della quale si mettono in evidenza i muscoli bulbo- e ischio-cavernoso e il muscolo trasverso superiore del perineo, nonché il centro tendineo. Si isola l’uretra bulbare al centro e ai lati le radici dei corpi cavernosi e i muscoli ischio-cavernosi.
La dissezione della neo-cavità inizia incidendo orizzontalmente il centro tendineo del perineo, all’altezza del muscolo trasverso, al di sotto delle ghiandole bulbo-uretrali. I muscoli perineali, in realtà, vengono in parte sezionati, in parte ribaltati verso l’alto e l’operatore si fa strada, per lo più per via smussa, lungo il rafe mediano al davanti dello sfintere anale, fra retto e sistema uretra-prostata-vescica, lungo il foglietto anteriore della lamina di Denonvillers. Questo scollamento risulta difficoltoso per i primi 5/6 centimetri, fino al superamento del diaframma pelvico, per la stretta coesione degli organi (uretra, prostata, vescichette seminali, retto), mentre diventa agevole e scorrevole nella parte superiore per un tragitto di oltre 15 cm, fino a raggiungere lo sfondato del Douglas. Terminato l’allestimento della neo-cavità, si prepara il lembo penieno (fig 1b).
La cute ventrale del pene viene incisa lungo il rafe mediano, a partire dall’estremità inferiore fino al solco balano-prepuziale, e scollata sul piano esangue della fascia di Buck, conservando la rete vascolare superficiale, per mantenere un’adeguata vitalità del lembo. Dopo aver separato completamente il lembo penieno, nella superficie dorsale del fallo si isola il fascio vascolo-nervoso dorsale del pene, a ridosso della fascia di Buck, contenente l’arteria dorsale, i nervi e le vene profonde (fig 1c). Questo lembo viene sollevato per tutta la lunghezza del fallo e alla sua estremità distale rimane collegato a un piccolo triangolo di cute e corpo cavernoso del glande, che verrà utilizzato per costruire un neo-clitoride sensibile.
Si isolano verso l’alto entrambi i corpi cavernosi, separandoli dall’uretra e si asportano completamente per evitare che residui di tessuto erettile possano arrecare disturbo o siano di ostacolo durante i rapporti sessuali. Per lo stesso motivo, anche l’uretra già isolata e accorciata viene, a livello del bulbo, liberata di gran parte del tessuto spongioso, dopo aver individuato e sezionato le arterie bulbo-uretrali (3).
Si pratica quindi la funicolo-orchi-epididimectomia bilaterale. I margini dei lembi scrotale e penieno vengono suturati tra loro, sui lati, ottenendo così una struttura tubulare, aperta all’apice, dove rimane beante, per drenare eventuali secrezioni dello sfondato (fig 1d). La struttura tubulare così ottenuta viene introflessa a “dito di guanto” all’interno della cavità precedentemente allestita, costituendone il rivestimento cutaneo. Questa “fodera” viene ancorata al periostio della sinfisi pubica, creando una depressione centrale sotto il monte di Venere e, all’interno della cavità, ai muscoli elevatori dell’ano e al legamento sacro-spinoso, al fine di prevenire un eventuale futuro prolasso.
All’imboccatura della neo-vagina, a circa 17 mm dietro la sinfisi pubica, viene praticata sulla cute peniena un’apertura di circa 1 cm, per posizionare il neo-clitoride precedentemente allestito, e 2 cm più in basso si effettua una seconda apertura per esteriorizzare l’uretra, che viene suturata obliquamente a “becco di flauto”, per evitare stenosi del neo-meato.
Sopra il neo-clitoride viene modellato un cappuccio cutaneo, che simula un prepuzio che lo ricopre parzialmente (4). Le strutture che simulano le grandi e le piccole labbra si ottengono suturando adeguatamente i lembi residui della cute scrotale, ai lati della neo-vagina, benché l’aspetto finale dipenda dalla quantità e qualità dei tessuti disponibili e spesso richieda un rimodellamento secondario. Questo può essere facilmente eseguito a breve distanza di tempo, in regime ambulatoriale in anestesia locale.
Nella neo-cavità viene introdotto uno specifico tutore morbido (fig.1e), che va mantenuto in sede per i successivi 5 giorni. Dopo la rimozione, si effettuano lavande quotidiane per 2 volte al giorno con blandi disinfettanti e il tutore viene applicato con l’aiuto di un lubrificante a intervalli di alcune ore, per 3 o 4 volte al giorno. Il catetere viene rimosso in sesta giornata.
L’uso dello stent viene mantenuto a intermittenza per circa 6 mesi a intervalli prestabiliti, ma il suo impiego può variare in relazione a diversi fattori, come il volume della neo-vagina, la presenza e il tipo di secrezione, l’instaurarsi di processi infettivi o di altre complicanze, la pratica o meno di rapporti sessuali, ecc.
Questi ultimi di norma possono iniziare dopo 2 mesi dall’intervento. Un uso scorretto dello stent può essere la causa determinante della complicanza più frequente, cioè la riduzione volumetrica della neo-vagina (5).

Complicanze
Gli esiti finali a distanza di tempo sono di solito soddisfacenti (fig 2 e 3) (6).

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Figura 2. Conversione andro-ginoide

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Figura 3. Conversione andro-ginoide: risultato a distanza

Tutte le tecniche di conversione andro-ginoide descritte in letteratura riportano un alto indice di complicanze (7-10).
Anche se raramente (1-5%), si possono tuttavia verificare complicanze gravi, dovute alla lesione di uretra, vescica e retto, con conseguenti fistole retto-vaginali, vescica- o uretro-vaginali o incontinenza urinaria temporanea o permanente. Queste complicanze richiedono interventi riparativi secondari impegnativi e talvolta derivazioni temporanee delle feci o delle urine.
Complicanze comuni, quali sieromi, ematomi, infezioni delle ferite, suppurazioni, non sono frequenti e si risolvono in genere spontaneamente o con interventi di drenaggio o medicazioni, ma possono prolungare significativamente la degenza e la convalescenza. Relativamente frequente (8-15% dei casi) è il sanguinamento, in genere di lieve entità, ma spesso protratto per diversi giorni, del tessuto erettile residuo peri-uretrale, o del fascio vascolo-nervoso dorsale del pene usato per la costruzione del neo-clitoride. Nei casi in cui non si arresti spontaneamente è necessaria una revisione chirurgica per emostasi.
La stenosi del neo-meato urinario è un’evenienza frequente (8-25% dei casi). È dovuta a retrazione cicatriziale concentrica dello sbocco uretrale e può verificarsi anche a distanza di mesi dall’intervento. Può essere corretta con un semplice intervento di meatotomia eseguito ambulatorialmente, in anestesia locale. Più rare le stenosi uretrali.
Il prolasso della cute invaginata, con conseguente disturbo estetico e funzionale, è dovuto alla sofferenza dei tessuti o all’alterata cicatrizzazione. In questi casi (5%) è necessario un intervento per ancorare di nuovo i tessuti prolassati al fondo della neo-cavità.
Meno frequenti e meno rilevanti sono:

  • la cicatrizzazione patologica nelle sedi di incisione, causa di inestetismi poco accetti;
  • la crescita di peli all’interno della neo-vagina, che facilita le flogosi e può interferire negativamente nei rapporti.

La diminuzione del volume della neo-vagina rappresenta una complicanza tra le più frequenti, che può compromettere e talvolta vanificare la funzionalità dell’organo (dal 6 al 55% nelle varie statistiche riportate in letteratura) (8). La riduzione può presentarsi immediatamente dopo o a distanza dall’intervento. Quella precoce può essere dovuta alla carenza dei tegumenti di rivestimento (fallo piccolo). Altra causa può essere un difetto di irrorazione, con conseguente necrosi, in genere parziale, dei lembi. Questa produce infezione e conseguente cicatrizzazione e coartazione dei tessuti. Ematomi e infezione della cavità possono contribuire a ridurre la cavità, non permettere l’uso corretto dei tutori e rendere impossibile il rapporto.
Le riduzioni tardive della neo-vagina sono da imputarsi a:

  • scorretto uso del tutore,
  • cattiva igiene locale,
  • infezioni ripetute,
  • traumatismi ripetuti in fase precoce.

Dopo l’intervento è necessario un uso continuo e corretto di adeguati tutori, per modellare e mantenere le dimensioni iniziali ed evitare la normale tendenza dell’organismo ad estrudere il corpo estraneo costituito dalla neo-vagina. È altrettanto importante mantenere una perfetta igiene e disinfezione della neo-cavità, per evitare infezioni batteriche, micotiche, virali, che possono determinare flogosi acute e croniche, causa frequente di esiti cicatriziali, che coartano e riducono il volume della cavità. In questi casi può essere necessario un intervento successivo, piuttosto complesso, di ampliamento e rimodellamento della vagina.

Asimmetria e dismorfismo dei genitali esterni
Certamente il miglioramento delle tecniche di vaginoplastica ha aumentato l’enfasi posta nei risultati estetici sia da parte dei chirurghi che dei pazienti (11).
Nell’intervento di vaginoplastica, oltre che realizzare una neo-vagina rivestita di cute e un neo-clitoride sensibile, si cerca sempre di modellare i tessuti di quell’area, per ottenere, per quanto possibile, un aspetto riconducibile a un perineo femminile. Il clitoride, il suo prepuzio e le piccole labbra rimangono le strutture più difficili da costruire (11).
Talora le aspettative, alimentate da una cattiva informazione e da scorrette proposte mediatiche, producono in alcuni soggetti (un tempo definiti transessuali secondari) false aspettative nei confronti di un possibile intervento, che si concretizza nell’illusione “magica” di essere finalmente donne belle e sessualmente attraenti (9). In questi casi la persona non persegue solo l’obiettivo di diventare donna, ma quello illusorio di diventare una “bella donna”, con delusione e insoddisfazione di qualsiasi risultato.
Questa fase dell’operazione è condizionata da numerosi fattori quali: morfologia iniziale dei genitali (forma, dimensioni), quantità e qualità della cute e disposizione del tessuto adiposo, disposizione delle aree pilifere, facile sanguinamento dei tessuti spongiosi.
In tutte le casistiche sono descritti in alta percentuale (che può superare il 50%) eventuali inestetismi residui dopo l’intervento primario (7,8).
Piccoli ritocchi di tipo estetico (se desiderati) potranno sempre essere effettuati in qualsiasi momento. Si tratta di interventi di rimodellamento dell’area genitale a bassissimo rischio, di breve durata, effettuabili in regime ambulatoriale, in anestesia locale.

Reinterventi: vaginoplastica secondaria
Nei casi in cui sia necessario effettuare una vaginoplastica secondaria per fallimento del primo intervento o complicanze che ne impediscono la funzione (riduzione volumetrica non altrimenti trattabile), si può pianificare un re-intervento secondo McIndoe (riconfezionamento della neo-cavità e fodera della stessa, con innesto a medio o tutto spessore di cute prelevata dalla coscia o in sede inguinale) o una neo-colpo-sigmoido-plastica (impiego di un’ansa del sigma defunzionalizzata, dislocata nello scavo pelvico e abboccata all’esterno per ricoprire la neo-cavità (12). Quest’ultima tecnica, che prevede la ricostruzione della vagina con un tratto di ansa intestinale, viene, in genere, considerata come soluzione di seconda scelta, perché gravata da un rischio maggiore (resezione e anastomosi intestinale) e da complicanze non sempre facilmente trattabili (stenosi dell’introito), secrezioni maleodoranti, flogosi croniche (colite), cancerizzazione (rara ma descritta). Questa tecnica viene scelta, in genere, in seconda battuta, quando la prima ricostruzione non ha avuto buon esito. Altre tecniche (innesti cutanei, mucosi) sono state abbandonate o riservate a situazioni particolari (13).

Adeguamento mammario
L’intervento di mammoplastica additiva può essere effettuato per integrare l’azione della terapia ormonale, oppure quando questa ha uno scarso effetto o non viene attuata (fig 4). In genere questo intervento viene comunque richiesto, in quanto la terapia ormonale, pur influenzandone il volume, non permette di ottenere un aumento della dimensione della mammella che sia soddisfacente per la persona.

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Figura 4. Conversione andro-ginoide: mammo-plastica additiva 

L’intervento prevede l’introduzione di una protesi di silicone, adeguata per forma e volume alla persona, attraverso un’incisione che consenta di alloggiarla in sede retromammaria. La pianificazione dell’intervento tiene conto delle valutazioni morfo-antropometriche e dei desideri della persona per il raggiungimento di un risultato estetico armonico. La paziente viene valutata in posizione ortostatica e seduta. Si valuta attentamente la dimensione delle mammelle, la loro posizione e le eventuali asimmetrie, la larghezza e la lunghezza della gabbia toracica, l’altezza e il peso. Qualche difficoltà può insorgere nella definizione del solco sottomammario nelle persone con torace piatto, di tipo prettamente maschile. In questo caso è necessario un preciso disegno pre-operatorio, sulla base delle caratteristiche anatomiche e della dimensione e volume della protesi.
Delle tre vie di accesso chirurgico, quella peri-areolare viene riservata a pochi casi, perché queste persone hanno di solito un complesso areola-capezzolo piccolo, che renderebbe difficoltosa l’introduzione della protesi. Quella trans-ascellare, più idonea per una collocazione sotto il muscolo della protesi, non trova spesso indicazione per l’ipertrofia del muscolo pettorale tipica del torace maschile. Nella maggior parte dei casi il risultato estetico migliore si ottiene introducendo la protesi sotto la ghiandola per via sottomammaria.
L’intervento di mastoplastica additiva non è doloroso e non richiede particolari attenzioni, tranne quella di portare il reggiseno per un periodo di almeno 4 settimane. Il risultato estetico di tale intervento è in genere ottimo e l’unica evidenza consiste in una piccola cicatrice nella sede dell’incisione necessaria per introdurre la protesi.
Le complicanze sono quelle tipiche della mastoplastica additiva: ematoma, infezione, dislocazione o rottura della protesi. L’inconveniente più frequente consiste nella formazione, intorno alla protesi, di una capsula fibrosa. Questa deriva dalla modalità con cui i tessuti reagiscono al corpo estraneo e formano intorno a esso una struttura cicatriziale, che può dare un aspetto innaturale, in quanto determina una massa di consistenza aumentata. Alcune volte questa capsula è così consistente da produrre fastidi fisici. In questi casi è necessario re-intervenire e, attraverso un’incisione sulla pregressa cicatrice, asportare la protesi con la capsula cicatriziale che la circonda e reinserire una nuova protesi.

Interventi complementari
I modellamenti estetici, infine, permettono di completare il cambiamento morfologico nella conversione andro-ginoide e renderlo più aderente alle aspettative della persona. Si tratta di asportazione del pomo d’Adamo, condro-laringoplastica, rinoplastica, cheiloplastica d’aumento, depilazione, ecc, che possono, in genere, essere effettuati anche in regime ambulatoriale (14).

 

TERAPIA CHIRURGICA DEL TRANSESSUALISMO FEMMINA-MASCHIO
Gli interventi per la RCS nella conversione gino-androide sono molteplici e possono essere effettuati isolatamente o variamente associati tra loro nei modi e nei tempi che vengono concordati con l’interessato, secondo le possibilità tecniche e le sue personali scelte. La conversione comprende:

  • interventi demolitivi: isterectomia, colpectomia, mastectomia;
  • interventi ricostruttivi: metaido-lastica o clitoridoplastica, falloplastica, scrotoplastica, uretroplastica.

Frequentemente le persone scelgono di effettuare, come primo intervento, il modellamento della regione toracica, per il grave disagio che la dismorfia comporta, soprattutto sul piano sociale. In molti casi, sulla base delle condizioni generali e locali dell’interessato, è possibile effettuare contemporaneamente l’isterectomia e la mastectomia.

Isterectomia
L’intervento viene attualmente effettuato con tecnica laparoscopica, soprattutto per evitare sull’addome esiti cicatriziali, che potrebbero compromettere l’eventuale successiva falloplastica. Solo in caso di già preventivata ricostruzione con lembo sovrapubico (tipo Pryor), in condizioni anatomiche favorevoli, può essere opportuno sollevare, già in questa fase, il lembo rettangolare sovrapubico a base inferiore, in modo da autonomizzarlo e renderlo più vitale e sicuro per l’intervento successivo. In questo caso l’isterectomia può essere effettuata agevolmente per via laparatomica.

Mastectomia
Per ottenere la mascolinizzazione del torace, modificandone il profilo femminile, si rende necessario:

  • ridurre il tessuto ghiandolare,
  • ridurre il tessuto cutaneo eccedente,
  • ridurre e riposizionare il complesso areola-capezzolo.

La scelta della tecnica dipende soprattutto dalle dimensioni del seno e delle sue componenti (parenchima e cute) ed è finalizzata a ridurre al massimo gli esiti cicatriziali, che rappresentano l’inconveniente maggiore di questo intervento.
Per seni piccoli si preferisce effettuare un’adenectomia sottocutanea subtotale e riduzione concentrica dell’area intorno all’areola, che viene disepitelizzata e suturata con tecnica “round block”, per ottenere alla fine un’unica cicatrice peri-areolare (fig 5).

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Figura 5. Conversione gino-androide: mastectomia con incisione peri-areolare

Per seni medi può essere opportuno ridurre le mammelle in più tempi, mediante la tecnica suddetta, con lo scopo di ottenere, comunque, alla fine, un’unica cicatrice intorno all’areola.
Nei casi di mammelle di grandi dimensioni, è necessario effettuare un’ampia adenectomia sottocutanea, asportando tutto il parenchima e un’ampia losanga di cute che lo ricopre, attraverso due incisioni curvilinee, che delimitano due lembi: uno superiore (esteso fino alla proiezione del futuro solco sottomammario) e uno inferiore (con margine superiore sullo stesso solco). Il complesso areola-capezzolo viene modellato e trasposto, veicolandolo su una penisola dermica disepitelizzata, oppure trasferito, dopo averlo prelevato, nella nuova sede come innesto libero. In questi casi residuano inevitabilmente cicatrici più estese, spesso evidenti e male accette, quali una lunga curvilinea nel solco sottomammario oltre a quella peri-areolare (fig 6).

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Figura 6. Conversione gino-androide: adenectomia sottocutanea con incisione trasversale e peri-areolare

Metaidoioplastica o Clitoridoplastica
Questa tecnica usa il clitoride, ipersviluppato dalla terapia ormonale, per costruire un micro-fallo, che in alcuni casi può raggiungere la lunghezza di 5-7 centimetri.
Consiste nel liberare da tutte le lacinie connettivali e valorizzare il tessuto erettile presente e costruire, con tecniche simili a quelle usate per la correzione dell’ipospadia, un tratto di uretra fino all’apice del piccolo fallo. Piccoli allungamenti del neo-fallo possono essere ottenuti mediante sezione del legamento sospensore e talvolta con la rimozione del grasso sovrapubico.
Questo intervento presenta il vantaggio di mantenere la sensibilità erogena del clitoride, consentire un’erezione naturale e permettere, in molti casi, la minzione in stazione eretta; tuttavia, le dimensioni ridotte dell’organo costruito lo rendono, nella maggioranza dei casi, inadeguato alla penetrazione. Per questo motivo raramente viene richiesto dagli interessati alla riconversione (15,16).

Falloplastica
Le tecniche proposte sono numerose; essenzialmente si dividono in quelle che utilizzano tessuti locali per costruire il neo-fallo (lembo sovrapubico) e quelle che utilizzano lembi liberi prelevati da altre regioni e trasferiti nella sede appropriata con tecniche microchirurgiche (lembo antibrachiale, lembo anterolaterale di coscia).

Falloplastica con lembo libero antibrachiale (lembo cinese)
Il classico lembo libero fascio-cutaneo dell’avambraccio, descritto da Chang (1984) e Gilbert (1988), era molto usato in passato ed è ancor oggi impiegato se ritenuto utile, quando le condizioni anatomiche lo permettono e i rischi e gli esiti cicatriziali vengono accettati dal paziente. Il lembo viene scolpito sull’avambraccio non dominante, dopo aver effettuato il test di Allen per verificare l’adeguatezza della circolazione. Le dimensioni delle isole cutanee variano in base alla costituzione del soggetto, in genere 10-13 cm di larghezza e 12-15 cm di lunghezza. Sul lembo viene compresa, sul lato ulnare perché più povero di peli, una striscia larga 3 cm che servirà per la costruzione della neo-uretra. Dopo aver isolato il lembo con i vasi e nervi tributari (vene basilica e cefalica, arteria radiale e vene comitanti, nervi antibrachiali), il neo-fallo viene preconfezionato sull’avambraccio. La striscia di cute del lato ulnare viene ripiegata intorno a un catetere e tubulizzata per formare la neo-uretra. La restante porzione del lembo viene avvolta e suturata intorno alla neo-uretra secondo la tecnica del “tubo dentro un tubo”. Il fallo neo-confezionato viene distaccato e trapiantato in sede pubica, confezionando le anastomosi tra arteria radiale ed epigastrica inferiore profonda, tra le relative vene comitanti, tra v. cefalica e v. safena, tra nervo mediale antibrachiale e n. ileo-inguinale o ileo-ipogastrico (fig 7). L’abboccamento della neo-uretra al meato originario può essere effettuato subito o dilazionato a un tempo successivo, dopo controllo del buon funzionamento dell’uretra (1).

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Figura 7. Falloplastica con lembo anti-brachiale: disegno pre-operatorio; preconfezionamento del fallo; anastomosi micro-vascolari; aspetto finale

Falloplastica con lembo antero-laterale di coscia
Consiste nel prelievo di un lembo di notevoli dimensioni (largo 13-14 cm e lungo 15-17 cm), di discreto spessore, prelevato dalla coscia e trasferito, con tecnica micro-chirurgica, nella sede pre-pubica. Questa tecnica permette di realizzare un penoide di buone dimensioni, ma lascia una cicatrice estesa, infossata sulla coscia, in genere male accettata dall’interessato, anche se passibile di miglioramento estetico con modellamenti successivi che la rendano meno evidente (fig 8).

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Figura 8. Falloplastica con lembo laterale di coscia: disegno pre-operatorio; aspetto dopo 1 anno; cicatrice residua

Falloplastica con lembo sovrapubico
Questa tecnica (1), derivata da quella originale di Pryor, è quella maggiormente usata dall’autore (circa 200 casi), con alcune modifiche personali. Si basa sul confezionamento e ribaltamento di lembi cutanei di vicinanza, sovrapubici tubulizzati e derotati, e consente di ricavare penoidi di discreto volume, con possibilità di costruire un’uretra di buon calibro e di inserire successivamente una protesi peniena. Nei casi di addome piccolo, pannicolo scarso, cute tesa, l’uso preventivo di espansori posti in sede sovra- e sotto-ombelicale, permette di ottenere un’area maggiore per la costruzione del neo-fallo e per la successiva addominoplastica.
In regione ipogastrica viene scolpito, sul piano fasciale, il lembo rettangolare sovrapubico con base inferiore, largo 12-14 cm e alto 13-15 cm. Nella regione inguinale (destra o sinistra) viene scolpito un lembo inguinale (groin flap) lungo 14 cm e largo 4-5 cm, centrato sulla proiezione del legamento inguinale. Questo lembo, tubulizzato intorno a un catetere, costituisce il canale uretrale, intorno al quale verrà avvolto il lembo sovrapubico per costruire il neo-fallo (tecnica del ” tubo dentro un tubo”). L’abboccamento della neo-uretra al meato originario può essere effettuato subito o dilazionato a un tempo successivo, dopo controllo del buon funzionamento dell’uretra.
La perdita di sostanza residua dopo il prelievo dei lembi viene trattata come per una addominoplastica, abbassando il lembo addominale superiore fino alla base del neo-fallo dopo un ampio scollamento fino alle arcate costali. L’ombelico viene riposizionato nella sede corretta. Residua una cicatrice trasversale sovrapubica, tipo addominoplastica, in genere ben accetta dagli interessati (fig 9 e 10).

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Figura 9. Falloplastica con lembo sovrapubico: disegno pre-operatorio; allestimento del lembo di copertura; allestimento del lembo inguinale per la costruzione dell’uretra; tubulizzazione dell’uretra

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Figura 10. Falloplastica con lembo sovrapubico: altro caso con impianto di protesi

Scelta del tipo di falloplastica
La scelta di quale tecnica ricostruttiva impiegare deve essere valutata caso per caso, sulla base delle condizioni anatomiche locali e generali, delle possibilità tecniche, delle scelte dell’interessato, della possibilità di soddisfare le sue aspettative.
Il lembo antibrachiale è sconsigliato nei casi con braccia esili, con scarso pannicolo adiposo, pelose. Le cicatrici dell’avambraccio sono estese e in sede molto evidente.
Il lembo sovrapubico è indicato in presenza di addome con pannicolo adiposo abbondante, cute eccedente o estendibile con uso di espansori. Comporta esiti cicatriziali, in genere più accetti e mimetizzabili con gli indumenti, molto simili a quelli di un’addominoplastica. Non può essere effettuata in presenza di cicatrici addominali che precludono la possibilità di allestire lembi sovrapubici (Phfannenstiel).
Il lembo antero-laterale di coscia trova indicazione quando è impossibile impiegare il lembo sovrapubico, in genere per la presenza di cicatrici addominali pre-esistenti, o in alternativa al lembo antibrachiale quando il tessuto utile nell’avambraccio è scarso.

In conclusione, l’indicazione ai diversi tipi di falloplastica deve essere posta, caso per caso, utilizzando le varie tecniche sulla base dei fattori condizionanti, privilegiando, ove possibile, le scelte del paziente e valutandone attentamente le aspettative.

Uretroplastica
La neo-uretra, in genere rivestita di cute con annessi (tessuti quindi poco idonei al passaggio e ristagno di urina), è gravata da un rilevante tasso di complicanze immediate e tardive (infezioni, stenosi, fistole), che richiedono spesso interventi ripetuti di correzione (17). Per questo motivo, molti pazienti rinunciano alla costruzione della neo-uretra, conservando il meato originale e rinunciando alla pur desiderata possibilità di minzione in stazione eretta.

Scrotoplastica
Consiste nel creare due tasche a livello delle grandi labbra, introducendo e fissando una protesi in silicone. Rottura, espulsione e dislocazione della protesi sono eventi poco frequenti (18).

Inserimento di protesi peniena
La protesi, dello stesso tipo di quelle usate per la disfunzione erettile maschile (semirigida, malleabile, idraulica bi- o tri-componente), viene alloggiata, attraverso un’incisione verticale alla base del neo-fallo, in una tasca ottenuta per via smussa all’interno dell’organo e fissata prossimalmente al pube. Per ridurre e ammortizzare l’effetto traumatico delle sollecitazioni dovute ai rapporti, la protesi viene ricoperta da una fodera di PTFE o da una rete di prolene (19).

 

BIBLIOGRAFIA

  1. Felici A. Tecniche di riassegnazione chirurgica di sesso. Trattato di tecnica chirurgica. Volume XVII Chirurgia plastica ed estetica, tomo IV. Piccin Nuova Libraria, Padova, 2003.
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