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Fisiologia della sessualità femminile

Linda Vignozzi & Elisa Maseroli
Unità di Medicina della Sessualità e Andrologia, Dipartimento di Scienze Biomediche, Sperimentali e Cliniche “Mario Serio”, Università degli Studi di Firenze

 

L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute sessuale come “uno stato di benessere fisico, emozionale, mentale e sociale in relazione alla sessualità; non è semplicemente l’assenza di malattia, disfunzione o infermità. Essa richiede un approccio positivo e rispettoso […] e prevede la possibilità di accedere a esperienze sessuali sicure e piacevoli, libere da ogni forma di coercizione, discriminazione e violenza” (1). Al centro della salute sessuale non vi è quindi solo il concetto di integrità anatomo-funzionale degli organi sessuali, ma anche e soprattutto la soddisfazione sessuale dell’individuo dal punto di vista fisico, emotivo e sociale. A questo proposito, il benessere sessuale è stato recentemente riconosciuto anche nelle donne non solo come una componente importante della salute generale, ma anche come un diritto fondamentale (2).
Quella dedicata alle donne rappresenta la parte più moderna della sessuologia, e, da un certo punto di vista, è ancora un campo di frontiera; limiti oggettivi, sociali e culturali sono stati, infatti, responsabili di un ritardo nell’interesse scientifico verso lo studio della sessualità femminile (3). Inoltre, il ruolo preponderante che l’elemento psico-relazionale riveste nel comportamento sessuale femminile, oltre a complicare la comprensione dei suoi meccanismi fisiopatologici e a rendere indispensabile un approccio di tipo multidimensionale, ha portato per molto tempo a una scarsità di dati provenienti dalla ricerca di base (3). Infine, l’inadeguata sensibilizzazione al tema da parte di molti professionisti sanitari e la scarsa consapevolezza delle pazienti stesse riguardo ai sintomi della sfera sessuale, influenzata dal contesto sociale, etnico e religioso, contribuiscono a rendere la sessualità femminile e le sue problematiche un ambito ancora poco studiato (4).
Le nostre conoscenze di fisiologia ci permettono senz’altro di affermare che la sessualità femminile è un processo complesso, in cui i meccanismi psicologici, inter-personali e socio-culturali da un lato, e quelli organici (ormonali, vascolari, nervosi, …) dall’altro risultano strettamente correlati e interdipendenti (5).

Modelli teorici della risposta sessuale femminile
Sebbene rappresentino degli schemi assai semplificativi, i cosiddetti “modelli della risposta sessuale femminile” possono fornirci un quadro di riferimento. Uno dei primi è quello teorizzato da Masters e Johnson negli anni Sessanta del Novecento e rivisitato negli anni Settanta da Helen Kaplan, che si applica a entrambi i sessi (6,7). Secondo questo modello, basato per lo più sulle modificazioni che avvengono a livello genitale, la risposta sessuale progredisce in modo prevedibile e lineare dal desiderio, all’eccitazione, al plateau, all’orgasmo, fino alla risoluzione.
Nel 2000, Rosemary Basson ha proposto un modello alternativo, ciclico, di risposta sessuale femminile (8). La sua principale novità consiste nel fatto che, nella donna, il desiderio o la fantasia erotica non rappresentano sempre il punto di partenza per l’attività sessuale, ma possono fare seguito a sensazioni di intimità emotiva, che la portano a ricercare la stimolazione sessuale o ad essere più ricettiva a quella avviata dal partner; si parla cioè di desiderio responsivo, contrapposto a quello spontaneo (8,9). Il modello ciclico ha inoltre introdotto il concetto che il confine tra desiderio ed eccitazione può essere labile, tanto che per molte donne i due aspetti sono difficili da distinguere (9). Un recente filone di ricerca è in accordo con questa visione, tanto che, nell’ultima edizione del DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), edito dall’Associazione degli Psichiatri Americani, il disturbo dell’interesse e dell’eccitazione sessuale femminile sono stati accumunati in un’unica entità diagnostica (10). Infine, il modello ciclico ha evidenziato per la prima volta l’importanza della soddisfazione, un concetto che supera la semplice integrità della funzione sessuale e che, nella donna in particolare, è strettamente legato agli esiti emozionali e relazionali oltre che fisici (11).
Tutti i modelli proposti hanno i loro sostenitori e detrattori, e possono adattarsi più o meno efficacemente alle diverse esperienze individuali: è difficile, infatti, pensare di schematizzare la risposta sessuale in maniera universale. Il dibattito sull’adeguatezza e l’applicabilità di questi modelli, in parte legati a interpretazioni di tipo psicologico, non deve comunque farci dimenticare che i meccanismi di base che regolano la risposta sessuale femminile sono fondamentalmente di natura organica (12).

Il desiderio sessuale femminile
Il desiderio sessuale è uno stato personale che determina la componente appetitiva del comportamento sessuale, la quale origina a livello intra-psichico in forma di pensieri, immaginazioni e fantasie. Levine (13) lo divide in tre dimensioni fondamentali:

  • la pulsione sessuale (sexual drive), che descrive i determinanti biologici;
  • la motivazione sessuale (sexual motivation), ovvero la componente psico-relazionale che guida l’approccio al comportamento sessuale;
  • l’interesse verso la sessualità (sexual wish), ovvero la dimensione culturale che media l’espressione del desiderio.

Nel sesso femminile, i parametri extra-biologici assumono un ruolo importante. È stato, infatti, riportato che la motivazione della donna ad avere un’esperienza sessuale è determinata spesso dalla ricerca di gratificazioni e vantaggi non strettamente sessuali, come il bisogno di intimità, di tenerezza, di apprezzamento; o ancora, da fattori strumentali, come la volontà di mantenere la tranquillità nella coppia e nella famiglia, di ottenere vantaggi o risposte affermative a richieste diverse, di evitare la collera o l’irritazione del partner (9).
Gli stimoli psichici (memorie e fantasie) e sensoriali (visivi, uditivi, olfattivi), questi ultimi veicolati verso i centri superiori tramite il corno dorsale del midollo spinale e le fibre afferenti vagali (14), sono responsabili dell’avvio dell’attività sessuale. Studi di neuroimaging funzionale hanno evidenziato una sequenza dinamica di attivazione di numerose aree cerebrali legate al desiderio, tra cui insula, ipotalamo, striato ventrale, area ventrale tegmentale, amigdala, talamo, ippocampo, e alcune aree limbiche e corticali (in particolare il cingolo, la corteccia pre-frontale e somato-sensoriale) (15). È stato ipotizzato che l’ipotalamo medi il controllo autonomo ed endocrino della risposta sessuale, che l’amigdala sia attivata dagli stimoli sensoriali e partecipi alla valutazione del contenuto emozionale degli stessi, che l’insula e la corteccia somato-sensoriale elaborino la percezione della risposta comportamentale, e che il cingolo e l’area pre-frontale giochino un ruolo nell’attivare la risposta eccitatoria finalizzata al piacere (16). Un interessante studio di Risonanza Magnetica funzionale, che ha confrontato donne con Disturbo da desiderio sessuale ipoattivo (HSDD) e donne con desiderio conservato, ha evidenziato come, in seguito a stimoli visivi erotici, i soggetti con HSDD presentassero una maggiore attivazione del giro frontale mediale e inferiore destro e del putamen, suggerendo che un’eccessiva attenzione rivolta verso le risposte del proprio corpo possa influenzare negativamente il desiderio e la responsività agli stimoli sessuali (17).
Dal punto di vista neurobiologico, si pensa che il desiderio sia regolato positivamente da dopamina e melanocortina, mentre la serotonina, gli oppioidi e i cannabinoidi endogeni rappresenterebbero segnali di tipo inibitorio (12). Per quanto riguarda gli steroidi sessuali, è stata suggerita un’azione sinergica di estrogeni e testosterone nel promuovere la libido nella donna. In particolare, è stato dimostrato un aumento del desiderio durante la fase follicolare e ovulatoria, a suggerire un ruolo stimolatorio degli estrogeni, con finalità riproduttive; d’altra parte, non sono state riscontrate relazioni significative fra livelli estrogenici e fluttuazioni del desiderio durante il ciclo (18). Sebbene vi siano prove coerenti dell’efficacia delle terapie a base di testosterone nel trattamento dell’HSDD, il ruolo degli androgeni nel modulare positivamente il desiderio sessuale in maniera indipendente è tuttora controverso (19).

L’eccitazione femminile e la lubrificazione vaginale
Secondo molto autori, l’eccitazione sessuale può essere classificata in termini soggettivi (elaborazione cognitiva di uno stimolo vissuto come piacevole) e oggettivi (componente periferica, genitale e extra-genitale), e nel sesso femminile le due non necessariamente coesistono (20). I cambiamenti che caratterizzano l’eccitazione a livello genitale sono mediati direttamente dai centri spinali: le fibre pre-gangliari simpatiche (originate dai nuclei T11-L2) e para-simpatiche (da S2-S4) lavorano in modo complementare nell’elaborare la risposta eccitatoria (16).
La lubrificazione vaginale costituisce la principale componente oggettiva genitale dell’eccitazione ed è la conseguenza dell’iperafflusso sanguigno. In condizioni basali, l’attivazione delle terminazioni nervose adrenergiche simpatiche mantiene contratta la componente arteriolare del microcircolo vaginale; vi è un modesto passaggio di trasudato, che risulta sufficiente solo a umidificare la vagina. Nella fase di eccitazione, il tono simpatico centrale si riduce, e VIP (polipeptide vasoattivo intestinale) ed NO (ossido nitrico), rilasciati dalle fibre NANC (non adrenergiche – non colinergiche), favoriscono il rilassamento della muscolatura liscia vascolare e non vascolare del clitoride e della vagina, determinando così un incremento del flusso (21). Studi in modelli animali hanno evidenziato che la via NO/cGMP (guanosin-monofosfato ciclico) rappresenta uno dei principali meccanismi nella modulazione del rilasciamento della cellula muscolare liscia dei vasi vaginali e clitoridei, proprio come avviene nei corpi cavernosi penieni (22). Il trasudato supera quindi la capacità di riassorbimento e si riversa nella cavità vaginale, rendendo possibile la lubrificazione; è ancora controverso l’eventuale, minimo contributo della secrezione mucosa delle ghiandole di Bartolino e di Skene. Il clitoride e i bulbi del vestibolo sono le strutture che maggiormente aumentano di volume durante l’eccitazione, ma anche le grandi labbra si rigonfiano grazie all’aumentato flusso ematico, e la loro sensibilità agli stimoli tattili incrementa; l’uretra va incontro ad allungamento e l’utero si contrae (21).

L’orgasmo femminile
Nella sua definizione più semplice, l’orgasmo rappresenta il culmine dell’eccitazione sessuale. L’orgasmo femminile è descrivibile come “la transitoria sensazione di picco di intensità del piacere, capace di alterare lo stato di coscienza, per lo più accompagnata da involontarie contrazioni ritmiche della muscolatura striata del pavimento pelvico, della muscolatura uterina e anale, che risolve la vasocongestione indotta dall’eccitazione sessuale, inducendo solitamente benessere e soddisfazione” (23). Oltre alla contrazione muscolare, tra le altre manifestazioni somatiche vi sono sudorazione, tachicardia, aumento della pressione arteriosa, tachipnea, arrossamento cutaneo (24).
Gli studi di neuroimaging funzionale non sono concordi nel definire le aree del cervello che si attivano durante l’orgasmo: alcuni autori hanno chiamato in causa il cervelletto (25), altri, nel sesso femminile in particolare, il cingolo anteriore, il nucleo para-ventricolare dell’ipotalamo e il nucleo accumbens (26).
La dopamina è il neurotrasmettitore principe nel promuovere la risposta orgasmica, e determina l’attivazione di un tipico circuito cerebrale di ricompensa (27). Secondo quello che è stato definito “il paradosso dell’orgasmo femminile”, nonostante il clitoride sia il più importante organo sensoriale genitale nella donna e quindi il più coinvolto nel raggiungimento dell’orgasmo, esso non è situato in una posizione strategica per essere sufficientemente stimolato durante il rapporto coitale. Di conseguenza, sembra altamente improbabile che l’orgasmo nella donna abbia la stessa funzione procreativa della controparte maschile (28). Inoltre, non vi sono evidenze che supportino in maniera conclusiva l’ipotesi che le contrazioni uterine dell’orgasmo facilitino il trasporto degli spermatozoi verso le tube (29). Questi concetti si inseriscono nel più ampio dibattito sulle tipologie dell’orgasmo femminile, storicamente distinto in quello raggiunto tramite la stimolazione del clitoride e quello che avviene durante il coito con la penetrazione vaginale, per lungo tempo considerato l’orgasmo più maturo e “nobile” in quanto legato alla riproduzione, e di cui in seguito è stata addirittura negata l’esistenza. In realtà, l’idea che l’orgasmo sia legato necessariamente a specifiche aree genitali è fuorviante, dal momento che può essere indotto anche dalla stimolazione di altre aree, erogene e non, dalla somministrazione di farmaci, da stimoli visivi e così via (27). Ad ogni modo, nonostante la sovrapposizione anatomo-fisiologica tra clitoride, uretra e parete vaginale anteriore, vi sono ad oggi numerose evidenze a sostegno dell’esistenza di un orgasmo vaginale, almeno parzialmente distinto da quello clitorideo (30). A questo proposito, notevole interesse è stato rivolto allo studio di una zona storicamente ritenuta di grande potenzialità erogena, il punto di Gräfenberg o “punto G”. Secondo alcuni autori, non si tratterebbe tanto di una struttura anatomica, bensì di un’entità funzionale particolarmente sensibile, denominata complesso clito-uretro-vaginale (31).
La grande variabilità individuale che caratterizza l’orgasmo femminile non riguarda soltanto i meccanismi che lo possono innescare, ma anche le sue caratteristiche di durata, intensità e ripetibilità. In particolare, la fase dell’orgasmo si può ripetere, non essendo condizionata dal periodo di refrattarietà tipico del maschio (orgasmi multipli); altre donne fanno esperienza di un pattern caratterizzato da oscillazioni dell’eccitazione che possono o meno giungere a un plateau, ma non all’orgasmo vero e proprio, senza che questo determini, per altro, una riduzione della soddisfazione sessuale (24). La natura del fluido emesso da alcuni soggetti durante l’orgasmo, in quantità estremamente variabile (fenomeno detto “squirting”), non è stata ancora chiarita; secondo alcuni autori si tratta per lo più di una perdita involontaria di urina (32), mentre alla base dell’eiaculazione femminile vera e propria vi sarebbe una secrezione simil-prostatica emessa dalle ghiandole di Skene (33).

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